Derry, Maine, Ottobre 1988. Bill Denbrough regala al fratellino Georgie una barchetta fatta con la carta di un giornale. Quando questa casca in uno scarico fognario, il piccolo per raccoglierla si accorge della presenza di un uomo vestito da pagliaccio, Pennywise il clown danzante. Mentre Georgie cerca di recuperare la barchetta, Pennywise gli strappa un braccio con un morso e lo trascina con sé nell’oscurità. L’incubo ha inizio…

Non credo di esagerare nel definire IT uno dei romanzi più importanti del secolo scorso ed il più importante nella lunga e prolifica carriera di Stephen King. Uscito negli USA nel 1986 ed in Italia nel 1987, IT ha formato, a suo modo, almeno tre generazioni di lettori, ma quella su cui ha avuto l’impatto maggiore è stata sicuramente quella a cui appartengo anch’io, essendo un “classe 1973”. Quando acquistai il libro avevo infatti più o meno la stessa età dei protagonisti del romanzo: Bill, Beverly, Ben, Richie, Stan, Mike e Eddie erano (e sono) personaggi con i quali si poteva fraternizzare dopo poche pagine e, in qualche modo, sono cresciuti con me.

L’impatto di IT sulla cultura pop contemporanea è stato devastante: non solo ha cambiato per sempre il mondo della letteratura, dimostrando a tutti che anche un libro da 1200 pagine, stracolmo di riferimenti alla cultura americana (allora a molti sconosciuta, visto che non c’era internet) potesse essere accessibile per un teenager (io lo terminai in quattro giorni di lettura matta e disperatissima) ma anche il mondo del cinema e delle serie tv: da Twin Peaks a Stranger Things (l’ultima in ordine temporale e anche la più sfacciata), sono decine le serie e i film che devono qualcosa all’opera di King.

Questo lungo preambolo è necessario e funzionale alla disamina della nuova versione cinematografica di IT, portata sul grande schermo da Andrés Muschietti, che ha esordito anni fa col fortunato thriller psicologico La madre, e figlia di una lavorazione travagliata, visto che il regista designato era inizialmente Carl “True Detective” Fukunaga, che ha poi lasciato il progetto per “divergenze creative”. Gli insider raccontano che la versione di Fukunaga si sarebbe allontanata parecchio dal plot originale e sarebbe risultata ancora più spinta sul fronte psicologico e sessuale, ma quello che conta è che quella di Muschietti, che in Italia sarà in sala dal 19 ottobre (ultimi al mondo, again) è un capolavoro.

IT, quindi.

Come prendere un romanzo di 1200 pagine e stiparlo in 130 minuti di film? Facendolo a pezzi, tanto per cominciare. La prima, grande differenza col libro di questo IT classe 2017, è che la storia narrata riguarda solo le vicende dei “Perdenti” ragazzini e non quelli adulti. Il primo confronto con Pennywise, insomma, e non quello “decisivo”.

Cambia anche il tempo in cui si svolge la storia: i teenager non si muovono più nella Derry degli anni ’50, ma in quella degli anni ’80 e questa scelta, azzeccata, rende un po’ paradossale la visione del film per chi, ad esempio, viene dalla serie tv Stranger Things che IT sembra imitare, quando ne è in realtà fonte ispiratrice. La scelta, funzionale alla creazione di un sequel ambientato ai giorni nostri, non confermato ma praticamente certo, permette a quelli della mia generazione di poter godere, dopo Stranger Things e il celebrato episodio San Junipero di Black Mirror, dell’ennesimo salto back to future negli anni ’80. Un decennio che ci piace.

Il film è bellissimo.
E’ un horror di pregevole fattura, impreziosito da effetti speciali eccezionali, che permettono a Muschietti di “lavorare” il materiale kinghiano, senza diventarne schiavo. Le omissioni e i cambiamenti apportati al testo originale (il ruolo di Patrick Hocksetter, la storia di Mike, il rapimento di Bev, il destino di Henry Bowers e, ovviamente, l’eliminazione della celeberrima scena di sesso che TUTTI i lettori di IT ricordano alla perfezione) sono funzionali ad uno storytelling efficace, fresco e coinvolgente. Lo spirito dell’opera originale c’è tutto.

Poi ci sono loro, i ragazzini. Uno più bravo dell’altro. Il primo che salta all’occhio, prevedibilmente, è Finn Wolfhard/Richard “Richie” Tozier, visto che è stato protagonista di Stranger Things, ma la migliore del gruppo è Sophia Lillis/Beverly “Bev” Marsh, che buca letteralmente lo schermo con una performance sensazionale: tenera e coraggiosa, è, come nel libro, la stella polare del gruppo dei “Perdenti”. Fa il suo, e non era scontato, anche Bill Skarsgård/IT/Pennywise, che riesce, al netto di cerone e morphing a conferire all’entità un’aura giustamente inquietante. Muschietti, in cabina di regia, non strafà e si limita a mettere in pratica l’abc degli horror che funziona sempre e rende IT terrorizzante quanto la controparte cartacea.

Nonostante il focus sull’azione e la limitatezza del mezzo cinematografico, che molto raramente riesce ad eguagliare quello letterario, IT riesce a far percepire almeno parte dei tanti temi trattati da King nel suo Magnum Opus: l’indifferenza dei genitori verso i figli, la violenza (anche sessuale) nei confronti dei più deboli, il bullismo, il gap tra ricchi e poveri, la difficoltà di crescere, la paura di ricordare e la fine dell’infanzia e delle illusioni che l’accompagnano. Il tutto immerso nella vasta, profonda e disperata provincia statunitense. Così, anche oggi, come trent’anni fa, siamo ancora “Perdenti”, ma in realtà vincitori perché, per citare l’incipit di un altro romanzo di King, “siamo già stati qui”.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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